mercoledì 6 febbraio 2008

Vendicazione

Questo post non vuole discutere del mondo dei media, tuttavia è scritto in riferimento ad alcune citazioni del libro di Jeremy Rifkin L'era dell'accesso. La rivoluzione della new economy nelle quali ho trovato conferma a molte delle mie paure.
Il libro presenta la "società dell'accesso" all'interno della quale si perde il concetto di accumulazione dei beni che nella società delle reti sono sempre più personalizzati, mutevoli e immateriali, si tratta infatti di prodotti culturali il cui valore risiede nell'esperienza e non nel possesso. Tradizionalmente l'accesso alla cultura come esperienza comunitaria è legato all'appartenenza ad una comunità, ma in quella che viene definita economia dell'esperienza, l'accesso si basa sul potere d'acquisto. La prospettiva è quella di un mercato del tempo, nel quale ogni istante di vita avrà un preciso valore monetario stabilito dalle aziende.
La mia più grande paura è quella di essere sempre più sottomesso al lavoro e al guadagno, di essere costretto per sopravvivere ad annientare il mio lato umano. Ho paura che tutto il tempo dedicato all'amore, alla riflessione alla serenità, al silenzio, alla solitudine, all'immobilità sarà tempo per il quale corrispondere denaro o al quale rinunciare per sempre, piegato alla logica della produttività. Una vita spezzata e regolata dall'esterno incalzata dalle continue scadenze, già la vita universitaria è questa, nel mondo degli adulti non può che peggiorare.
Personalmente non mi sento pronto a vivere in una mondo così, mi sento un inetto della società moderna. Quando ci penso sono triste e mi sento proprio come Emanuel Carnevali ne Il primo Dio:

Il LAVORO, questa miserabile faccenda, il LAVORO. Incubo dei perseguitati! Il LAVORO, questa povertà, questa angoscia, questa specie di nevrastenia, questa cosa che ti succhia il sangue! Il LAVORO, questa morte che ti divora a poco a poco, questa paura che ti afferra allo stomaco, questa donna tirannica che propaga il terrore, che divora il cuore stesso di un uomo!
[...]
Finalmente un'anima buona mi trovò un lavoro in un ristorante italiano, come aiutocameriere. Fu il primo lavoro della mia vita. Era un ristorante a prezzo fisso della 8th Street, vi lavoravo diciassette ore al giorno e ritornavo stanchissimo alla mia stanza per sognarvi piatti, piatti e ancora piatti.
[...]
Il lavoro era per me una gioia e insieme un terrore. Solo a pensarci stavo sveglio la notte. Per quattro giorni ero quasi morto di fame in quella stanza della 12th Street e il pensiero di perderlo mi portava alla disperazione.
[...]
A volte erano le poesie che mi consumavano i pensieri, muovendosi come un esercito di formiche nel mio cervello oppure divorandomi come tanti vermi. Perché questa preoccupazione per le parole, pensavo, se non c'è nessuno che le ascolti?

Penso sempre che questo libro sia in qualche modo la mia Vendicazione. Così la voglia di scappare via alla ricerca di una vita diversa si fa sempre più forte. A volte credo sia solo paura delle responsabilità.

3 commenti:

Il ragazzo che viene dal futuro ha detto...

A chi non sapesse cos'è una Vendicazione consiglio la lettura del racconto La biblioteca di Babele tratto dal libro Finzioni di J. L. Borges.

1Co ha detto...

Scappare è una soluzione.
Lamentarsi è un'alternativa.
Imparare a rinunciare alla perfezione è costruire.

Il ragazzo che viene dal futuro ha detto...

Questa mattina ho trovato una citazione che rende in maniera più precisa il pensiero di Emanuel Carnevali ne Il primo Dio:

Ho già parlato di quel senso di viziosa esaltazione che talvolta ho provato lavorando: un vago sognare, una specie di emozione, un sentimento, dico sentimento, come un Messia, un dolce Cristo. (Ciò mi costò parecchi licenziamenti, immagino, perché un sognatore non lavora mai bene).