sabato 10 gennaio 2009

Danza

Mi ritrovavo nuovamente con i piedi su quel parquet. Tamburellavo con i talloni quella musica che avevo ascoltato centinaia e centinaia di volte, la mia mente era tranquilla e serena mentre ripercorreva agilmente tutti i passi di quella coreografia. Il pezzo non era ancora partito, ma ero già dentro di esso, ed ogni nota avrebbe sospinto ogni mio arto in totale armonia con il tutto.

Mi guardai attorno abbastanza seccato da quella inutile attesa, finché il mio sguardo non si posò sui suoi occhi. Già, c'era anche lei. Avevo pensato a tutto, tranne a ciò che lei, dopo tanta fatica e tante lacrime versate, poteva pensare in quel momento. E mi accorsi che la sua mano rigida tremava nella mia, mentre i suoi occhi cercavano disperatamente i miei per trovare un conforto, per riequilibrirare il suo stato d'animo grazie all'imperturbabilità del mio. Le sorrisi e il suo sguardo si rasserenò attorniato da una strana luce. Che contribuiva non poco a rinvigorire il mio ego.

Pensai che non fosse così strano che lei mi guardasse a quel modo. Il parquet era stato il luogo in cui ci eravamo conosciuti, il luogo in cui lei aveva condiviso ed io appreso, in cui lei ballava accompagnandomi ed io ballavo trascinandola, perché quel parquet era il mio tempio. Il mondo in cui vincevo sempre, in cui la vita per quanto mi ringhiasse affannosamente sul collo non poteva raggiungermi. E nel caso ci fosse riuscita, con un sinuoso passo l'avrei evitata elegantemente, sorridendo e disprezzando.

La folla si quietò d'improvviso. Era il mio momento. La musica partì e iniziai a guidarla nel pezzo, come se non fosse nient'altro che un corpo vuoto. Anzi, sarebbe stato meglio che lo fosse, poiché la mia anima sarebbe bastata a colmare i passi di entrambi. La sua era solo un intralcio. Poi però accade qualcosa. Quel punta-tacco che aveva impattato sul parquet sempre con tanta destrezza, mi abbandonò con la stessa semplicità con cui mi aveva sempre accompagnato ed io scivolai rovinosamente a terra. E quella musica che si era sempre innervata attraverso le mie membra, d'un tratto non era nient'altro che un eco lontano, sempre più impercettibile. Preso dallo sgomento cercai una via d'uscita che mi riportasse indietro o almeno fuori da quell'incubo. Ma non vi era niente. Soltanto lo sguardo della folla, degli altri ballerini e dei giudici, perplessi e commiserevoli. E mentre affogavo nella vergogna, la Sua mano si tese verso di me. Mi aggrappai ad essa e ricominciammo semplicemente a ballare.

Quella volta, la vita stessa che odiavo tanto era penetrata con prepotenza, riprendendosi la sua rivincita. Per ricordarmi dell'inevitabile. E rivedendo nei Suoi occhi quella stessa luce, capii che mi amava malgrado la mia mediocrità. Perché Le bastava ballare con me. Le bastava quello.

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