giovedì 26 febbraio 2009

Verginità

Era come se la sua intera esistenza, cullata gelosamente in un dolce e angosciante desiderio d'amore, dovesse trovare pace e serenità proprio quella notte. Il cuore le batteva all'impazzata. Seduta al buio sul proprio letto stringeva il cuscino con forza, affondando in esso il suo viso con una tale passione, che il cuscino stesso avrebbe potuto animarsi tanto era il desiderio che la pervadeva. Ogni strato dalla sua anima risuonava come una melodia dolce e suadente, ed a tratti essi pulsavano all'unisono, dando vita a un maestoso concerto interiore.

Eppure, una sottile parte del suo spirito non condivideva quell'esaltazione, quasi ci fosse uno strumento che anziché accompagnare e sostenere quella gioia vibrante, andasse per proprio conto, senza curarsi della confusa ma straripante armonia che lei assecondava con tutta se stessa. Perché lui era lì a pochi passi da lei, con uno sguardo invisibile, imbevuto dell'oscurità della notte, quasi avessero entrambi la stessa misteriosa imperscrutabilità. E quando lui iniziò ad avvicinarsi, lei poteva percepire soltanto il fruscio delle sue mani sulle lenzuola, sempre più vicino ed assordante, come un vento gelido che sgomita tra la fronde, presagendo tempesta.

Ma la sua anima era sempre più turbata: era come se man mano che lui si avvicinasse, si generassero nel concerto del suo cuore suoni sempre più stridenti e fastidiosi, che la frastornavano. Ed il suo torace fu preso da movimenti convulsi, ma ora di un terrore immane. Era quello il momento giusto, o forse era ancora troppo presto? Era come l'aveva sempre sognato, quel momento? E quel suo lui? E mentre veniva rapita da queste sensazioni che sgretolavano le sue certezze sull'amore, ella sentì una mano robusta e fredda che cercava incessantemente il suo seno e, prima che se ne rendesse conto, fu presa in una morsa soffocante. Non riusciva a dibattersi, a urlare, era come se la prigionia di quel corpo avesse incatenato anche la sua mente. Finché d'un tratto, uno squarcio che le penetrò sin dentro la parte più profonda dell'animo, la fece gemere ma di una voce strozzata, la cui forza si disperse nel sogno di quell'amore dilaniato.

Poi più nulla. Lui le si coricò a fianco offrendole nient'altro che una schiena nuda. E lei, mentre lentamente si riaveva, s'accorse che le si era dolcemente addormentato a fianco, come un bimbo che stanco del proprio giocattolo, trova finalmente ristoro in un sonno profondo. D'un tratto desiderò con tutte le forze che le restavano di tornare indietro, di sparire per sempre, poiché divenne consapevole di una verità opprimente. Già, se soltanto lo avesse amato davvero, e non avesse sospinto i propri sogni verso un burrone oscuro e infinito. Verso un ignoto in cui unicamente il sentimento avrebbe potuto rappresentare un lieve lume di speranza, comunque fosse andata.

E allora desiderò che la morte la prendesse in quello stesso istante. Ma ben presto s'accorse di quella vana speranza, e sorrise al proprio delirio.

2 commenti:

Il nero ha detto...

L'ultima frase è stata presa e riadattata dal romanzo "Una vita" di Guy de Maupassant nella traduzione di Natalia Ginzburg, Giulio Einaudi Editore

Anonimo ha detto...

Bello.