mercoledì 3 marzo 2010

Morti dentro

Quell'interruttore sottopelle non mi aveva mai convinto. Ma è probabile che il suo innesto fosse soltanto una conseguenza naturale, dopo la diffusione di quella pillola. "Pillola dei miracoli", la chiamavano così quei figli di puttana. 7 ottobre 2086. Un sole autunnale filtrava dalle persiane della finestra, ma un buio rassicurante dominava su tutta la stanza. Un buio che mi isolava dal silenzio del mondo esterno. Da tre giorni rimanevo seduto ai piedi del letto, senza mangiare, né dormire, di fronte alle righe vuote di un quaderno ingiallito, con una stilografica appoggiata tra le pagine, dall'inchiostro ormai secco, che avevo conservato quale ricordo della mia infanzia.

Naturalmente, data la precarietà dei mezzi che avevo a disposizione, non avevo scritto nulla. O quasi. Perché con la punta di quella vecchia penna avevo inciso alcune parole su quei fogli che mi si sbriciolavano tra mani. "Per i nostri figli". Rileggendolo ancora una volta scoppiai in una risata isterica, con la testa gettata all'indietro, premendo rabbiosamente la mia mano sull'occhio destro: una piccola scia di sangue scivolò sulla mia guancia, morbida, fresca e perfetta. Quel brusco movimento del capo inoltre riportò alla mia attenzione ciò che avevo provato a dimenticare dal momento in cui mi ero chiuso a chiave in quella stanza: il led del mio Macintosh indicava un semplice stato di stand by, una fase di attesa. "Life", dissi con un filo di voce, e nel pronunciare quella parola sentii nuovamente una voglia matta di ridere.

L'ologramma della mia home page si materializzò in un attimo di fronte ai miei occhi. Facebook. Completamente immobile da cinque giorni. Gli ultimi messaggi erano tutti molto poetici nella forma, ma tremendamente banali nei contenuti: lasciavano trasparire un'incessante fiducia nel futuro, un richiamo alla speranza. Cercavano assiduamente un'altra via, una seconda occasione, anche quando un fenomeno come l'estinzione ci aveva colti, per un ironico paradosso della Storia, all'apice della nostra capacità di sopravvivere.

Aprii la sezione delle foto. Nel corso di una vita ne avevo accumulate a migliaia in cui avevo cercato di immobilizzare il tempo. Il tempo. Un concetto strano in questa circostanza, poiché il mio volto, in tutte quelle immagini, non era in grado di rifletterlo. Non s'intravedeva la minima ruga, nè sulla fronte, nè attorno alla bocca, mancavano persino quelle borse che si accumulano sotto gli occhi dopo anni e anni di fatiche. Eppure, malgrado i contorni di quegli stessi occhi apparissero così impeccabili, tondi e levigati, scorrendo tra le foto, mi pareva che il mio sguardo si fosse progressivamente svuotato. Era come se il tempo, che non si era ripercosso sul mio corpo, avesse eroso ciò che avevo dentro, ogni giorno di più.

Per lei, invece, era accaduto il contrario. Gli anni avevano scavato solchi profondi sul suo volto, ma i suoi vividi occhi neri non erano affatto mutati. Erano accesi, incantati, pieni di sogni da ragazzina, forse perché, a causa mia, non aveva mai potuto avere figli. E malgrado le fosse pesato addosso come un macigno, non mi aveva mai odiato, ed i suoi occhi avevano continuato a guardarmi con amore e un po' di malinconia, fino a quando non si chiusero dolcemente, con una lacrima, cinque anni fa. Perché lei quella fottuta pillola non l'aveva presa. Perché a differenza della stragrande maggioranza degli esseri umani, deboli, egoisti e stupidi, non era disposta a scendere a quel terribile compromesso. Se per l'involucro esterno i risultati furono eccezionali, infatti, le nostre interiora si asciugarono, private della capacità di produrre vita.

Eppure la morte non poteva coglierci. L'ironia del destino volle che divenissimo esseri infiniti in grado di vivere per sempre, soli, ma non potevamo farlo. Non ne eravamo in grado: i suicidi aumentarono a dismisura e coinvolsero il 90% della popolazione mondiale. Per coloro che erano rimasti, l'istinto di sopravvivenza, ma che dico, quella merdosa paura di morire aveva prevalso e per un po' di tempo ce ne andammo in giro per le strade come zombie. Mi tastai il polso e una piccola luce blu filtrava dallo strato di pelle che l'avvolgeva. Stand by. Attesa. Il mio respiro si fece affannoso. Ripensandoci, credo che in fondo quella pillola ci avesse tolto due cose fondamentali: la capacità di morire in maniera dignitosa come un qualunque essere umano meriterebbe, ma soprattutto, la possibilità di scandire la propria vita di momenti unici, indimenticabili, quelli che vale la pena tenersi stretti, nell'attimo in cui si preme il bottone.

4 commenti:

Fede ha detto...

per me pollice in su.

Il nero ha detto...

speravo che in su rimanesse qualcos'altro

Fede ha detto...

quello costantemente.

Fede ha detto...

Federico sono sempre io eh, mi sono connesso per isbaglio con un altro account...