È una specie di rumore di fondo. Un fischio sottile, quasi impercettibile, ma penetrante. Una vibrazione di cui non riesco a scorgere l'origine. Ma è una cosa che mi sfianca, fluttua nei substrati del mio animo, provo ad afferrarla, imprigionarla nelle parole, ma mi sfugge poiché non riesco a darle un nome.
È colpa della solitudine. Perché quando guardo i tuoi occhi, questo sibilo si fa più audace, ed amplificandosi diviene materia solida. Ed in questa nuova consistenza prende una forma propria, acquista dei contorni più netti, sono in grado di separarla da tutto il resto, ma ancora non la riconosco. Forse perché al contatto umano, quello vero, subentra la paura.
E così il suo nome continua a rimanermi oscuro. Eppure non è stato sempre così: non si è trattato sempre di un rumore inconsueto, fastidioso. Una volta era un tratto distintivo del mio animo, e buona parte di esso caratterizzava il mio modo di vivere. Affiorava naturalmente, occupava ampie aree del mio essere in ogni suo strato, era qualcosa di cui ero conscio. Poi, per proteggermi, l'ho spinto verso il basso, ho scavato e l'ho sepolto, vivo.
2 commenti:
e se prova a disseppellirsi? se riesce a far emergere dal terriccio una manina supplice?
Confido che prima o poi accada. Per ora sto aspettando che qualcuno venga a dissotterrarlo, ma non credo sia l'atteggiamento giusto.
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